Un paio di settimane fa ho partecipato al Meetup “foursquare goes to Milan” in cui gli appassionati dell’ormai nota piattaforma di geolocalizzazione hanno potuto incontrare Charles Birnbaum, foursquare Manager of Business Development.
I presenti sanno che Charles non ha tenuto speech ma ha preferito dialogare in modalità one-to-one (o one-to-few visto il numero di persone che ogni volta si radunavano attorno a lui e all’interlocutore di turno) rispondendo in maniera informale – ma allo stesso tempo senza sbottonarsi troppo – alle domande dei presenti.
Ho colto anch’io l’occasione per condividere alcuni pensieri che sto facendo sul futuro di foursquare chiedendo da una parte una sua opinione dall’altra anticipazioni su cosa bolle in pentola.
La domanda con cui ho intavolato il discorso è stata
“Grazie alla geolocalizzazione e a foursquare in particolare, la location, o meglio la venue, acquisisce maggiore importanza e attira l’interesse delle aziende come media [digital media, va da sé che un media lo era già prima]: avete intenzione di fare leva su questo fenomeno offrendo nuovi strumenti alle aziende?”
Charles mi ha risposto che hanno iniziato a pensarci, che vogliono ampliare l’offerta alle aziende in modo da prevedere degli strumenti anche per i product brand ma per il momento concentreranno le loro forze sulla crescita della user base.
Mi sono immaginata un futuro in cui gli special non saranno più solo egoriferiti ma saranno co-branded, un futuro in cui la venue diventerà uno spazio media da vendere alle aziende che non hanno una presenza sul territorio. Faccio qualche esempio di special:
Offerta 1+1 per prodotti food facendo check-in al supermercato
Birra gratis ad una comitiva di amici per check-in collettivi all’interno di un pub
Supermercato e pub sono quindi location che diventano media per i brand food e beer .
Lo so che c’è chi mi odierà solo per averlo pensato ma è un’ipotesi a mio avviso molto concreta. Inoltre con i limiti attuali imposti da foursquare sul numero di Special attivabili le offerte avrebbero un carattere di esclusività e si eviterebbe il fenomeno dell’affollamento temuto sia dagli utenti sia dalle aziende.
Se ci concentriamo sui possibili effetti positivi tralasciando quelli negativi legati ad un uso inconsapevole e speculativo della venue, un approccio di questo tipo porterebbe benefici a tutte le parti coinvolte:
Utenti: benefici legati a sconti, promozioni, offerte speciali come forma di reward all’interazione con la venue
Aziende: possibilità di raggiungere l’utente attraverso un nuovo media in maniera esclusiva nel momento in cui è vicino al point-of-purchase
Gestori della Venue: nuovo strumento di valorizzazione economica e conseguente monetizzazione della propria location
foursquare: possibili impatti sull’aumento della user base grazie ad una maggiore visibilità garantita dalle aziende e ad una maggiore interazione con le venue da parte degli utenti
È auspicabile un futuro così o sarebbe quasi meglio scongiurarlo?
Quali sono secondo voi gli strumenti che foursquare in futuro metterà a disposizione dei product brand?
[…] l’interesse del mercato si è spostato dagli owned media, siti di proprietà interamente gestibili dal proprietario (owner), ai bought media, spazi sui siti a largo traffico che è possibile acquistare, fino ad arrivare agli earned media, ambienti online dove il posto ma soprattutto il consenso da parte degli utenti te li devi diciamo guadagnare […]
[…] Oggi pensare ai social media unicamente come un mezzo per generare earned media è limitante e può provocare disillusioni e disattese nei confronti delle sue potenzialità. Diverse aziende utilizzano i social media anche come owned media, creando al loro interno pagine e profili con contenuti ad hoc, e come bought media, sfruttando le opportunità di pianificazione pubblicitaria offerte dai main player come YouTube e Facebook […]
A distanza di un anno credo ancora che questo approccio sia utile per avere una visione d’insieme della presenza online di persone e aziende ed in generale dell’evoluzione dei media. Nonostante le continue integrazioni e contaminazioni tra i diversi ambienti rendano difficile una categorizzazione è utile attribuire un ruolo a ciascuno per capire come distribuire le proprie risorse, definire gli investimenti necessari, scegliere gli strumenti di misurazione adatti e identificare i corretti kpi.
A questo proposito mi sono soffermata a ragionare sul ruolo che hanno i brand – qualunque essi siano – nel creare nuovi spazi e servizi online e su come si siano evoluti i cosiddetti owned media.
Nel tentativo di riappropriarsi di uno spazio proprietario, svincolato quindi da altri media, come nel caso delle pagine su Facebook, alcune aziende stanno cercando di creare ambienti in grado di valorizzare la propria utenza sfruttando le dinamiche comportamentali consuetudinarie ed emergenti e i trend più rilevanti.
Vi faccio tre esempi:
Gamification: Badgeville e Fangager
Branded aggregator: Gente del Fud
Gruppi d’acquisto: eBay Group Gifts e AmazonLocal
Gamification: Badgeville e Fangager
In questo ultimo periodo ho letto tanti articoli sul fenomeno gamification, merito anche dell’arrivo di Badgeville in Italia e dell’incontro tra Maarten de Zeeuw e alcuni blogger/professionisti/amici dove si è parlato tra le altre cose anche di evoluzione dei siti web aziendali
Il trend? Si va verso l’integrazione completa: la seamless integration! Se in passato i siti aziendali non erano un luogo di raccolta per i propri social network e si limitavano ad un “vieni a trovarci su Facebook”, oggi il sito potrebbe diventare un hub per tutta la propria comunicazione digitale.
Badgeville introduce all’interno del sito alcune logiche legate al concetto di gamification tra cui assegnare punteggi e badge virtuali per gli utenti più attivi un po’ come avviene su foursquare per la geolocalizzazione, su miso per la visione di film, programmi e serie televisive, su Consmr per la spesa online, etc.
E non è il solo. Un altro esempio di azienda che sta offrendo un servizio analogo è Fangager che mette a disposizione anche una serie di apps per incrementare il livello di engagement con i propri utenti.
In molti si chiedono se questo fenomeno non sia destinato ad esaurirsi a breve soprattutto nei casi in cui le logiche di gamification proposte siano riconducibili più a concetti di pointification o di badgeification ma in generale l’interesse è molto alto e sono sicura che seguiranno ulteriori sperimentazioni, sviluppo di nuove piattaforme, ingresso di nuovi player e rumors da parte di quelli esistenti.
Branded aggregator: Gente del Fud
Due settimane fa ho avuto la possibilità di partecipare alla presentazione del nuovo progetto di Pasta Garofalo “Gente del Fud” insieme a circa 80 blogger, soprattutto food blogger.
Gente del Fud (simpatica omofonia che sta per food e Sud) è un portale che ha lo scopo di diventare uno strumento per la ricerca di sapori e produttori delle più diverse vivande. Il foodblogger si registra sul sito e da quel momento in poi può contribuire a inserire informazioni e notizie su prodotti e produttori di cibi, spezie, vivande ed altri alimenti attraverso la compilazione di una scheda che prevede la geolocalizzazione del prodotto. Le regole di partecipazione sono due: la prima è inserire prodotti del territorio che si conosce la seconda è compilare la scheda con un atteggiamento di apertura e condivisione (modo elegante per dire di evitare la guerra di religione a favore del produttore A contro il produttore B)
a cui si aggiunge il suo interessante punto di vista sulla tipologia di progetto
è un progetto di crowdsourcing in cui il ruolo del blogger è di esperto e competente. Se volessi usare un neologismo possiamo considerarlo un caso di blogsourcing, ovvero crowdsourcing attraverso i blogger.
Un owned media quindi che cerca di appropriarsi del fenomeno del crowdsourcing dandogli un taglio originale e in grado di valorizzare la propria community.
Il valore aggiunto non è legato solo alla natura esclusiva del sito che prevede in questo momento l’intervento dei soli utenti selezionati ma anche alla possibilità di restituire ai food blog partecipanti parte di quella visibilità che stanno pian piano perdendo nelle SERP di Google.
Questo è un altro dei temi caldi della rete in questi ultimi mesi: il recente aggiornamento di Google, denominato Panda, ha l’obiettivo di penalizzare i siti con contenuti di bassa qualità che godono di un ottimo posizionamento come gli aggregatori a favore di siti con contenuti di qualità superiore tra cui possibilmente anche i blog di cui fanno parte i post aggregati.
Quindi senza dilungarmi oltre si potrebbe dire che anche in questo caso un brand cerca di sfruttare trend dominanti nella rete a proprio beneficio per la creazione di nuovi owned media.
Gruppi d’acquisto: eBay Group Gifts e AmazonLocal
Gli ultimi esempi che vi propongo sono legati a big players dell’e-commerce che cavalcando il fenomeno dei gruppi d’acquisto hanno creato il proprio “branded Groupon”: eBay con Group Gifts e Amazon con AmazonLocal.
Nel primo caso viene comunque utilizzato Facebook per reclutare amici con cui acquistare il regalo mentre nel secondo caso Amazon ha sfruttato la partnership con LivingSocial, sito rivale di Groupon.
In questa direzione vale la pena citare l'applicazione facebook Crowdsaver di Wal-Mart.
Insomma come direbbero i britannici “Watch this space”.
What’s next?
Gamification, branded aggregators, quali potrebbero essere i nuovi owned media? Come si evolveranno? Conoscete altri esempi interessanti da segnalare?
Movies, TV, songs, games. Pop culture now comes packaged like cookies or chips, in bite-size bits for high-speed munching. It's instant entertainment – and boy, is it tasty
Molti di voi si ricorderanno lo speciale sulla snack culture di Wired del 2007 dove si spiegava come la fruizione “snack” di contenuti e informazioni e la modalità di produzione degli stessi si estendesse a tantissime categorie.
La scrittura ne è un esempio lampante: il fenomeno del microblogging, gli haiku giapponesi e più semplicemente gli sms. A questo proposito mi fa piacere segnalare l’esperimento lanciato da Andrea Contino “WhyIBlog” perfettamente in linea con questa tendenza:
Ho deciso di raccogliere in un arco di tempo non precisamente stabilito, diciamo da qui a un mese, le vostre spiegazioni sul motivo che vi spinge a tenere in vita il vostro blog. Ben conscio del fatto che chiedere a tutti di scrivere un post al riguardo sarebbe ingiusto e probabilmente non riscuoterebbe l’attenzione che vorrei, vi chiedo di farlo attraverso un semplice Tweet quindi con un testo di massimo 140 caratteri.
Molto sfidante per me che non ho il dono della sintesi 😉
Il cortometraggio è uno snack cinematografico che trova la sua massima espressione in progetti come "The 1 Second Film". Anche nell’animazione troviamo casi celebri come i corti Pixar ed esempi più recenti come i webisodes della nuova property di Mattel “Monster High”.
La cultura snack è fortemente visibile anche nel gaming ed è diventato un vero e proprio business con lo sviluppo delle applicazioni iPhone.
E ancora pensiamo allo “snack shopping” con il proliferare dei one-day deals come Woot, siti che mettono in vendita un solo oggetto per una sola giornata, ovviamente a condizioni molto vantaggiose.
Si potrebbe associare ogni manifestazione della snack culture ad una particolare innovazione o fenomeno digitale: l’evoluzione delle piattaforme video online, i servizi di microblogging, l’e-commerce, il mercato delle apps e così via.
Mi chiedo se la geolocalizzazione e servizi come Foursquare, Facebook Places e a quanto pare anche Twitter non stia estendendo la snack culture anche al turismo.
Non più, o meglio non solo, guide con pagine e pagine di descrizioni di monumenti, cattedrali e piazze ma brevi notizie e curiosità come fa Travelitalia che grazie a Foursquare può geolocalizzare i suoi tweet e trasformarli in tips.
Per altri esempi di utilizzo di Foursquare in chiave turistica vi consiglio di leggere il post Geolocalizzazione e turismo.
Io personalmente apprezzo questa modalità di produzione e di fruizione delle informazioni, riesco a trovare il tempo per leggere un tip e magari è uno stimolo per ulteriori approfondimenti.
Nel medio-lungo periodo vedo però due criticità: l’invasività e la ridondanza dei contenuti.
Se il numero dei contatti e il numero dei tip cresce presto potremmo trovarci a leggere tantissimi tip molto simili tra di loro che si materializzano uno dopo l’altro in automatico sullo schermo del telefonino non appena fatto check-in.
Immagino che questo problema sarà già stato preso in considerazione da Foursquare (ammetto di non aver fatto ricerche in merito) e magari sono già in fase di implementazione dei filtri per la visualizzazione dei tip legati ad un rating associato ai nostri contatti, alle interazioni fatte a livello assoluto con il tip o ad una combinazione delle due variabili, oppure più semplicemente un sistema di riconoscimento dei tip che ti avvisa se è già presente qualcosa di analogo con la possibilità di editarlo come se fosse un wiki.
Dall’altra mi sono immaginata la nascita di nuovi servizi e nuove realtà come gli “aggregatori di tips”.
Circa 2 anni fa parlavo della ricerca del filtro perfetto, tema valido anche oggi se pensiamo alla continua ricerca di modalità per selezionare, aggregare e appunto filtrare il gran numero di notizie, post, tweet ed in generale stimoli informativi con cui abbiamo a che fare ogni giorno. Avremo bisogno di un filtro ancher per i contenuti prodotti all'interno dei servizi dei geolocalizzazione?
Forse in futuro nasceranno servizi che aggregheranno i tips degli utenti per tipologia, come fa Liquida con i post, e invece di leggerli tutti, sceglieremo di visualizzare quelli di un unico account che li selezionerà per noi in base alle nostre preferenze o ai nostri contatti.
Che ne pensate? È l’antibiotico che mi fa vaneggiare o c’è qualcosa di potenziale in quello che ho scritto? 🙂