(1. Evoluzione e diversificazione del concetto di brand)
2. Costruzione della presenza online di un brand
Se ripenso alla mia esperienza personale fino ad oggi mi vengono in mente esclamazioni e affermazioni appartenenti a periodi diversi rappresentative del pensiero comune sul ruolo di internet per le aziende in quel momento.
Per semplificare al minimo ridurrò questa evoluzione a quattro fasi, che presentano ovviamente ampi margini di sovrapposizione tra di loro, al solo scopo di evidenziarne il macrotrend.
Devi farti il sito!
Fino a qualche anno fa (ma la cosa preoccupante è che in molti la pensano ancora così) internet per le aziende era semplicemente “il sito”. Le web agencies e i freelance sfornavano un sito dopo l’altro, acquistavano domini come fossero pacchetti di sigarette, si faceva a gara tra chi trovava l’accostamento di colori più accattivante, l’immagine in homepage più evocativa e simbolica, il menù di navigazione più articolato o “creativo”. Il grafico all’inizio era l’htmlista, poi il flashista fino ad arrivare a richiedere skills di programmazione per ottenere determinati effetti durante la navigazione.
Hai visto il mio banner?
Il numero di siti cresce e le probabilità di essere visitato dagli utenti si riducono notevolmente, diventa quindi forte l’esigenza di creare dei punti di collegamento visibili tra i siti più visitati, in particolare i portali, e i sitarelli aziendali, siano essi corporate o di prodotto: la soluzione sono i banner. Piccoli, grandi, grafici o testuali, statici o che lampeggiano, diventa impensabile “andare su internet” senza almeno un bannerino.
Il SEO è il futuro!
“Cosa li fai a fare i banner che tanto non te li clicca nessuno? Devi essere nei primi tre risultati di google se vuoi che qualcuno venga sul tuo sito”: il search è la panacea di tutti i web-mali. è la corsa all’oro, o meglio alle parole chiave dorate, si snocciolano sigle come SEO, SERP, PR, se non sei sulla prima pagina di Google non sei nessuno.
Ce l’hai la pagina su MySpace?
E venne il momento dei social network. Il concetto chiave che inizia a diffondersi sulle bocche dei web strategists di tutto il mondo è: se vuoi raggiungere il tuo target devi essere lì dove sono loro, ossia negli ambienti digitali dove trascorrono gran parte del loro tempo online insieme al proprio “network” (amici, familiari, colleghi, appassionati, etc). E questo concetto si spinge verso il “devi entrare a far parte di quel network“, come se questo ingresso fosse possibile per ogni brand, azienda, prodotto, sito, servizio, testimonial, etc.
La descrizione delle 4 fasi è volutamente esagerata e approssimativa, cerco di condividere un pensiero per esprimere il mio punto di vista su questo fenomeno.
Avrei dovuto inserire nel passaggio da una fase all’altra di questa evoluzione anche esclamazioni come “il sito (il destination website) è morto”, “il banner è morto”, “il blog è morto”, “second life è morto”, etc, sembra che dichiarare la morte di qualcosa o qualcuno da qualche anno a questa parte sia diventata una moda (speriamo non un trend).
Si è sempre alla ricerca della next BIG THING.
Tornando alle fasi , possiamo dire che l’interesse del mercato si è spostato dagli owned media, siti di proprietà interamente gestibili dal proprietario (owner), ai bought media, spazi sui siti a largo traffico che è possibile acquistare, fino ad arrivare agli earned media, ambienti online dove il posto ma soprattutto il consenso da parte degli utenti te li devi diciamo guadagnare.
Non so quale sarà la next big thing, ma sinceramente mi interessa relativamente, sono molto più affascinata dalla big picture.
Mi spiego.
Ho l’impressione che la continua ricerca di ciò che nel prossimo futuro sarà il nuovo hype faccia perdere di vista quello che in rete c’è già, perchè la cosiddetta rete è più viva che mai. Cercare di capire come le persone usano la rete, quali spazi privilegiano, quali motivazioni li spingono ad usare un servizio piuttosto che un altro, di cosa parlano, cosa e chi cercano, è secondo me una sfida ben più stimolante del capire cosa si intende per web 3.0.
Per quanto mi riguarda il mio impegno verso la comprensione di come costruire o sviluppare la presenza online di un brand, di un’azienda, di un ente, di un amico etc. partirà da qui.
La corretta valutazione della propria presenza online dovrebbe partire dalla definizione del ruolo che dovrebbero avere le tre categorie di online media, e questo non vuol dire che sia necessario investire tempo e risorse in tutte e tre le categorie ma ignorarne una per concentrarsi esclusivamente su un’altra (ad esempio non curare il proprio sito per dedicarsi interamente alla propria fan page su Facebook) è un errore.
Possiamo ad esempio guidare l’utente attraverso un percorso che lo agevoli nella ricerca di informazioni sul proprio prodotto (spot in tv con link del product site, presidio delle keyword relative al copy dello spot sui motori, “infiltration” – che sconsiglio – nei forum per parlare del sito, etc) ma dobbiamo aspettarci che ogni utente decida autonomamente, volontariamente o meno, di seguire un percorso personalizzato, ed essere pronti ad agire di conseguenza attraverso un’attenzione costante a tutta la torta non solo ad una fetta.
Va bene mi sono dilungata un po’ troppo (strano eh?) ma questo secondo trend è quello a cui tengo di più 🙂
Cosa ne pensate? I miei orridi grafici vi hanno fatto chiudere la finestra/tab prima di arrivare qui?
(3. Digitalizzazione dell’universo media)
AGGIORNAMENTO
I tre trend della comunicazione sono stati raccolti e approfonditi nell’ebook I trucchi di una digital strategist, edito da Simplicissimus Book Farm, scaricabile gratuitamente.
Fra complimenti per i grafici:D noto un miglioramento con le torte:)
Quel che dici è vero, molte volte però non tutti i target e tutti gli obiettivi coincidono con le tre cose e sempre più spesso è un problema di budget. Quello che descrivi nel finale è il mondo ideale, che molte volte, vuoi per poca propensione all’online i vari brand non percepiscono.
La realtà è che molte volte ci troviamo a fare cose per brand che vogliono sperimentare, ma che non ci credono più di tanto, almeno seguono la regola: “non credo finchè non vedo!”…e vaglielo a spiegare…:)
baciotti geek woman!
Ahah hai ragione!! Lavorando in un gruppo dove la componente “media” è centrale capisco perfettamente quando mi dici “non credo finchè non vedo!” eheh.
Diciamo che secondo me è importante avere sempre in mente la big picture di cui parlavo, la torta completa, e farla presente anche a chi ci chiede come bisognerebbe “muoversi” e “presenziare” all’interno della rete 😉 Poi è ovvio che a seconda della strategia, del budget e delle richieste del cliente ci si tara più su una fetta che su un’altra.
Mi sa che la fase “devi farti il sito!” è quella in cui abbiamo iniziato a lavorare insieme 🙂
Ed era un periodo in cui era già un risultato scampare dal rischio di ridursi a fare il temibile “sito vetrina”, ovvero poco più di una brochure digitale buttata online.
Brava Fra!
Questi post sono molto utili, scritti in modo chiaro e organizzato.
Aspetto il post numero 3…e anche che questo compaia su FF per metterci un like (segno dei tempi :P)!
@Suzukimaruti certo che mi ricordo il sito vetrina 🙂 detto anche sito brochure (“questa è la mia brochure, fammi il sito!”)
@Antonella grazie!! 😀 il post numero 3 spero di pubblicarlo lunedì, non ho ancora scritto niente ma è tutto nella mia testolina eheh.
Ottime osservazioni come sempre che condivido in pieno.
Il fatto è che ancora qualcuno è fermo alla prima fase, mi capita spesso di dover spiegare tutto dagli inizi….
La descrizione delle 4 fasi non è affatto esagerata e/o approssimativa. 🙂
Hai perfettamente riassunto l’evoluzione di come le aziende hanno percepito il web sin dal momento in cui si sono accorti della sua esistenza. Il primo diagramma è comprensibile ma forse andrebbe modificato nella forma. Forse sarebbe più corretto disegnare qualcosa che dia maggiormente il senso cronologico dell’evoluzione (magari usando le frecce – ad esempio).
La ricerca della “Next big Thing” non è un male in assoluto. Si tratta di voler essere sempre ‘up to date’, aggiornati, al passo coi tempi. Anzi, un passo davanti agli altri concorrenti. Quindi ben venga: di aziende illuminate e protese verso il nuovo ce n’è sempre più bisogno. L’importante è che questa ricerca di essere al passo coi tempi non diventi l’unico e solo pensiero, che non si trasformi in un’ossessione.
Sul rifiuto della “infiltration” siamo estremamente d’accordo. Io di principio sarei anche contrario ai fake comments sugli strumenti 2.0.
Fa piacere inoltre sapere che c’è qualcun’altro che non è ossessionato solo dagli strumenti nuovi, ma che propende per un uso cosciente di tutto ciò che la Rete mette a disposizione.
Sono assolutamente d’accordo quando dici che la ricerca della “Next big Thing” non è un male in assoluto, sono io la prima che cerca di tenersi aggiornata su tutte le novità e a rifletterci su per capire cosa può avere un futuro e cosa no.
Diciamo che ho solo visto troppe presentazioni dove si è tentato di sorprendere il cliente o in generale l’audience con effetti speciali perdendo di vista il target o comunque il vero obiettivo.
Della serie che esci e dici “mamma mia che figata” ma dopo 5 min pensi “ma cosa me ne faccio?”.
Sono convinta che la vera comprensione di quello che è futuribile non può prescindere dall’assimilazione di ciò che è presente.
Signorina lafra, lei a volte è così chiara nell’esposizione che, se fossi rettore, le darei una cattedra all’istante.
Le torte non le vengono poi così male…anche un posto in cucina glielo darei (avessi un ristorante).
Aspetto la terza parte.
Ah, brava.
Complimenti fra, ho letto la prima parte e mi è piaciuta, questa l’ho adorata e non ti si poteva non scrivere 😉
Articolone lungo, mi sono detto all’inizio, ma quando il contenuto vale si arriva fino in fondo, in barba al microblogging e alla prossima next big thing (che penso sarà proprio micro ma chissà ;))
Aspetto la terza puntata per metterci la ciliegina. La torta non è male… arancia, fragola e limone?
a presto
un sorriso
Alcune domande buttate li
Queste 3 fasi sono per tutti? o solo per alcuni settori/siti? Ad esempio il SEO serve a tutti? Essere sui social media serve a tutti?
Gli earned media presuppongo la conversazione a cui l’azienda deve essere pronta. E se è il consumatore a non volerva?
Interessantissimo Post. Esattamente come quello precedente.
Le idee sono spiegate in modo chiaro e relativamente conciso. Il problema è che la “carne al fuoco” è tanta. (Se si trattasse approfonditamente ogni argomento penso ne verrebbe fuori un buon libro).
Datto questo. L’analisi dell’evoluzione di ciò che è internet per le aziende, soprattutto le PMI, è molto veritiera e concordo con il primo commento di Luca Bove quando afferma che alcune aziende sono ancora ferme ai primi “passi evolutivi”.
@ Luca Bove.
Mi sento di rispondere ad una delle tue domande “buttate lì” perchè è il campo che, all’interno della comunicazione, mi attira di più, nel quale sto cercando di specializzarmi e nel quale spero di riuscire a lavorare.
Essere sui social media secondo me può servire a tutti. Dipende molto dalla tipologia di prodotto, dalla vocazione aziendale (b2b o b2c) e dalla capacità/volontà dell’azienda di intrattenere con i clienti un dialogo in cui non si può avere il controllo. Ti faccio un esempio: da qualche tempo su Facebook è stato aperto (da un’ “agenzia di comunicazione” un gruppo ed una fan page di una ditta di caminetti. Bene. La mia domanda è: cosa ci sta a fare su Facebook una ditta che produce caminetti?!
Il vero problema è che anche la presenza su internet, e soprattutto quella all’interno dei social media, và programmata e studiata per bene mettendo a punto una strategia di contenuti e di comunicazione efficace e costruita attorno all’azienda, al brand o al prodotto che si và a comunicare.
@vitzbank e @davide grazie mille! 😀
@Luca e Nicolò mi fa molto piacere che il post abbia dato vita a qualche spunto di riflessione.
Per quanto riguarda la domanda di Luca a cui Nicolò ha risposto ossia se “Essere sui social media serve a tutti?” ci tengo a precisare che non bisogna necessariamente usare sempre tutte e tre le categorie, ma credo che sia importante definire il ruolo che ognuna dovrebbe avere. Se un’azienda è piccola e non ha budget da spendere in tabellare magari può fare keyword advertising, o magari non fare niente e decidere di investire il proprio tempo (e il tempo è denaro!!) nella creazione di un piccolo network di contatti interessati alla propria attività.
Nel caso degli earned media non è indispensabile “esserci”, magari si può adibire a questa categoria il ruolo di ascolto, considerarli una sorta di focus group anarchico 😀
Tutto ovviamente va tarato su ogni singola realtà e se è piccola a maggior ragione perchè un’errata valutazione può creare disagi notevoli. Inoltre credo sia importante ricordare che il termine “social media” comprende tutta una serie di ambienti e servizi, spesso ci si limita a pensare ai più noti: facebook, twitter, etc. Comunque a proposito di come l’approccio di comunicazione aziendale possa cambiare rispetto al passato vi ricordo questo schema creato da gianluca che personalmente mi aveva dato molti spunti di riflessione
http://www.minimarketing.it/2008/11/essere-1999-vs-partecipare-2009.html
Mi riconosco nelle evoluzioni della rete… mi ricordo ancora i clienti che volevano solo il sito, ma devo dire che ancora non è facile fagli comprendere che non basta solo il sito, ma bisogna fare anche altro, molto altro.
Condivido il pensiero che bisogna concentrarsi sulla ricerca di quello che c’è ora in rete e non su quello che sarà il web 3.0, credo che studiare quello che si sta muovendo adesso può dare anche un quadro su quello che avverà in futuro.
Ottimi i post davverò interessanti, esprimono chiaramente le riflessioni che forse stiamo facendo un pò tutti.
@ADVsha grazie 🙂
E pensare che qualche mese fa un potenziale cliente mi ha presentato una brochure fetecchia e mi ha detto ” eh è arrivato il momento di avere un sito! Prendi qui TUTTE le informazioni. ” 😀
Bel post, brava:)
@Sara Ahah bellissimo 🙂
In ogni caso non pretendo che i clienti abbiano già questa visione dell’online, rabbrividisco quando la noto in persone che si considerano leader della comunicazione online e per loro la leadership si manifesta nel tentativo di vendere la proposta tecnologicamente più avanzata senza alcuna coerenza con il target e gli obiettivi di comunicazione.
@ADVsha grazie 🙂