Ho sorriso all’inglese maccheronico e alle domande come “Restaurant, where?” perché l’inglese di Oxford, quello del genitivo sassone e dei question tags, è incomprensibile.
Ho sorriso ai refusi, nei menu e nelle insegne dei negozi, perché non dovevo correggerli.
Ho sorriso ai tacchi, a quelli che ti slanciano e ti fanno sentire più bella, perché non ho dovuto indossarli per compiacermi davanti allo specchio.
Ho sorriso alle infradito, quelle che ti tagliano la pelle tra l’alluce e il secondo dito del piede, perché il mare disinfetta la ferita.
Ho sorriso ai motorini, quelli che trasportano famiglie di quattro persone, perché sono diretti verso una casa.
Ho sorriso al pantalone taglia unica, perché puoi essere una 38 senza curve o una 46 che ne ha in abbondanza, a lui non importa.
Ho sorriso alla fretta perché non averla ti fa cogliere ogni minimo dettaglio, davanti o dietro al mirino di una macchina fotografica.
Ho sorriso ad ogni sguardo, quelli furtivi dei passanti, quelli attenti dei bambini, perché occhi così belli non ne ho mai visti.
Ho sorriso tanto.
E volete sapere una cosa? Sorrido ancora.