Recentemente sul numero di Ottobre di Wired Italia ho letto “Ode allo Spreco” di Chris Anderson, direttore di Wired US.
“La tecnologia tende a somigliare sempre di più alla natura. Abbondare è l’unico modo per prosperare e assicurarsi una chance di sopravvivenza. Nella dura vita delle nuove economie, meglio imparare la lezione del libero arbitrio di YouTube”
In sintesi i principali concetti dell’articolo:
- A differenza della natura che è portata a sprecare vita per cercare vita migliore noi esseri umani non siamo predisposti positivamente verso lo spreco, lo consideriamo eticamente sbagliato (pensiamo al senso di colpa che proviamo nei confronti del cibo: se dovessi cucinare una torta e questa non mi soddisfa pienamente non la butterei via per provare a farne una migliore, ma mangerei quella mediocre perchè sarebbe un peccato gettarla nella spazzatura).
- Il concetto di spreco è soggettivo e muta nel tempo perchè cambia il valore economico di alcuni prodotti e servizi; Anderson fa l’esempio della differente percezione di una chiamata interurbana tra nonni e nipoti: i primi la vivono come qualcosa da fare in fretta senza perdere tempo perchè dispendiosa nonostante oggi il costo delle telefonate si sia drasticamente ridotto, i secondi quasi non si pongono il problema.
- La tecnologia oggi ci consente di sprecare proprio come avviene in natura perchè il costo dello spazio che occupiamo con i nostri sprechi (dati, file, etc) è prossimo allo zero.
- YouTube è un esempio concreto di sfruttamento dello spreco: una specie di esperimento collettivo per esplorare lo spazio potenziale dell’immagine in movimento “sprecando video” in cerca di video migliori.
- YouTube mette in crisi il concetto di qualità, scardinandolo da ogni valenza oggettiva per lasciare posto a quelle soggettive: è risaputo che YouTube è pieno di cosiddetta spazzatura, ma non lo è nel momento in cui un video come il piccolo panda che starnutisce totalizza oltre 40 milioni di views. Anderson fa l’esempio dei suoi figli appassionati di Star Wars che preferiscono le animazioni in stop motion ricreate con il Lego da bambini di nove anni loro coetanei rispetto al dvd HD. “La spazzatura è negli occhi di chi la guarda”.
- YouTube cambia le logiche del marketing facendo emergere un mercato prima invisibile in cui la domanda è spesso inespressa o ignorata e l’offerta va ricercata all’interno dello spreco. Riprendendo l’esempio dei suoi figli, Anderson dice che “dev’esserci sempre stata una domanda di Star Wars in stop motion, ma era invisibile perchè nessun esperto di marketing aveva avuto l’idea di offrire un prodotto del genere”. YouTube stravolge le logiche del media introducendo una logica di abbondanza in un settore fortemente caratterizzato dalla gestione della scarsità. Riprendo un passaggio dell’articolo: “Se controlliamo risorse scarse (per esempio la TV in prima serata), dobbiamo scegliere attentamente. Quelle mezz’ore di trasmissione hanno costi reali, e se non si raggiungono le decine di milioni di spettatori si paga con soldi bruciati e carriere distrutte. Non stupisce che i dirigenti televisivi si affidino alle sit-com e alle celebrità: una scommessa sicura in un gioco costoso. Ma se potete sfruttare risorse abbondanti, potete correre rischi perchè il costo del fallimento è basso. Nessuno viene licenziato se la vostra clip su YouTube viene vista solo da vostra madre.”
- In un mondo in cui scarsità e abbondanza coesistono è necessario “perseguire simultaneamente controllo e caos”.
Mi sembra un punto di vista molto interessante ma a tratti incompleto.
Non ho letto gli eventuali approfondimenti su questo tema ma vorrei condividere alcuni pensieri su alcuni passaggi dell’articolo che ovviamente mi interessano quando devo considerare l’Economia dell’abbondanza nel mio ambito lavorativo.
Anche internet è gestita in logica di scarsità.
Ovviamente non “internet” globalmente, solo alcuni dei suoi ambienti, ma credo sia opportuno ricordarlo perchè nell’articolo di Anderson mi sembra che i media classici vengano analizzati come se avessero logiche totalmente differenti dai digital media.
Anche quest’ultimi sono interessati da una logica di scarsità, pensiamo ai portali e alle testate giornalistiche online. La visibilità si paga, non tanto quanto sui mezzi classici come la TV, ma non è gratis.
La stessa homepage di YouTube richiede un investimento spesso non marginale in termini di quote di budget.
Di conseguenza procedere per tentativi, sperimentare sprecando con l’obiettivo di cercare la soluzione migliore può essere oneroso se il video in questione è appunto nella homepage di YouTube o del Corriere (a questo proposito vado un po’ OT ma vi ricordo alcune discussioni “roventi” su Friendfeed in merito alla sponsorizzazione di Lancia Delta appunto sul Corriere).
Il rovescio della medaglia è che l’economia della scarsità online si trascina gli stessi atteggiamenti prudenziali e sbagliati tipici dei media classici. Anderson dice che i dirigenti televisivi puntano sulle celebrità per non “sbagliare”, io vedo web marketing manager che per lo stesso motivo, andare sul sicuro, decidono di riproporre online lo spot televisivo, tale e quale, o perchè hanno paura di puntare su qualcosa di diverso o perchè nella loro percezione è il contenuto di maggiore qualità che hanno a disposizione (quello che è costato di più produrre). Potrebbero avere contenuti inediti, magari banalmente i dietro alle quinte dello spot con episodi divertenti delle riprese o i commenti a caldo dei protagonisti, ma preferire lo spot andato in onda, perchè gli altri contenuti non sono qualitativamente adeguati.
Qui ovviamente ha ragione Anderson quando dice che la spazzatura è negli occhi di chi la guarda e che c’è una domanda che il marketing non vede e a cui quindi non può rispondere.
Internet ha una memoria che lascia molte tracce. Caotica, ma potenzialmente infinita.
Sì è vero, il costo dello spazio occupato dai dati oggi si avvicina allo zero, ma è anche vero che questo rende possibile immagazzinarne la memoria storica.
Arriverò al dunque: se metti online una cavolata è molto difficile farla sparire. Puoi eliminarla dalla tua macchina ma questo non esclude che qualcuno l’abbia salvata e ripubblicata in altri spazi della rete. Quindi anche in questo caso sprecare per andare alla ricerca del contenuto perfetto può essere controproducente perchè nulla esclude che l’utente arrivi al tuo spreco prima di arrivare al tuo contenuto perfetto.
Anche nel caso in cui l’utente scopra il contenuto perfetto non è escluso che per approfondirlo non arrivi agli sprechi che lo hanno preceduto.
Questo ragionamento vale ovviamente per le aziende, per le celebrities, ma anche per le persone comuni: vogliamo davvero che il nostro potenziale datore di lavoro cercando informazioni su di noi arrivi a quel famoso video che ha fatto tanto scompisciare i nostri amici? Anche questo è un tema che richiederebbe un approfondimento ma in questo post eviterei (vi suggerisco la sempre valida presentazione di Sara al Parmaworkcamp "Quando anche il tuo capo è online", qui ripresa in video da Elena).
Attenzione, non voglio censurare un determinato tipo di comportamento online, io stessa ho vita morte e miracoli di me stessa nei vari social media ma ad ognuno dò un ruolo e li tengo per quanto possibile sotto controllo.
Vorrei solo suggerire un po’ di prudenza verso la cosiddetta Economia dell’Abbondanza e approfondire un aspetto solo accennato da Anderson nell’articolo che è quello di perseguire simultaneamente controllo e caos.
L’approccio all’Economia dell’abbondanza dovrebbe iniziare non dallo spreco ma dal monitoraggio.
In conclusione posso dire che a mio avviso il miglior modo per sfruttare questa abbondanza è iniziare da subito a monitorarla.
Il monitoraggio dovrebbe interessare quattro categorie di contenuti:
- I tuoI contenuti per avere una visione d’insieme degli “sprechi” già pubblicati e ricostruirne uno storico. Come sono stati recepiti? Come sono stati riutilizzati da parte degli utenti? Sono davvero degli sprechi inutili o se modificati possono evitare di sprecare ulteriormente generandone di nuovi?
- I contenuti che parlano di te per capire come controllarli ed eventualmente gestirli. Internet ha il vantaggio rispetto agli altri mezzi di poter modificare, taggare, commentare, linkare, aggregare ciò che viene distribuito in rete. Se qualcuno pubblica un video su un nostro prodotto è scontato dirlo ma è importante essere il primo a saperlo in modo da decidere se e come reagire. Se gli utenti ad esempio pubblicano video tutorial sui nostri device potrebbe essere una buona idea creare un ambiente dove aggregarli piuttosto che crearne di nuovi (ed evitare ancora una volta “sprechi”).
- I contenuti degli altri per controllare cosa è già disponibile in rete per evitare di aggiungere “sprechi” già realizzati. Anderson afferma che “presto o tardi ogni video realizzabile sarà realizzato”: a mio avviso sarà più tardi che presto perchè la cultura del Remix può portare alla generazione di infinite versioni di uno stesso contenuto, ed è opportuno monitorare la rete per evitare di investire risorse nella creazione di qualcosa che esiste già se non è necessario.
- I commenti ai contenuti: per cercare di capire cos’è la qualità oggi. Non voglio dire che il video del panda che starnutisce sia un video eccelso ma se ha totalizzato così tante views forse è meglio farsi delle domande su cosa è possibile offrire oggi ed esplorare il web alla ricerca di stimoli che stravolgano magari i canoni tradizionali di qualità.
Voi cosa ne pensate? Secondo voi qual è il giusto modo di approcciare questa Economia dell’Abbondanza? Avete esempi interessanti di gestione dello "spreco"?
Riguardo ai contenuti degli altri e alla cultura del remix avrei un’altra riflessione da aggiungere.
I social network creano spesso una ridondanza di contenuti pazzesca. Spesso sulla mia home page di FB mi capita di vedere il solito video ripetuto anche 4 volte; questo perché ognuno nella mia cerchia di amici ci tiene a segnalare un contenuto divertente anche ad altri.
Girano sempre gli stessi contenuti, nonostante ci sia un’abbondanza pazzesca. Si tratta sicuramente di qualcosa si necessario, che fa emergere automaticamente ciò che è di qualità (o se non altro “pop”), ma l’abitudine al retweet e al “segnala ai tuoi amici” crea un grande spreco.
Per il monitoraggio non potrei trovarmi più d’accordo (ovvio), ma mi sembra che in Italia la cultura dell’analisi sia molto indietro.
Finché sei un singolo che vuol far parlare di sé o condividere le proprie idee, lo spreco potenzialmente non esiste, ma spesso le aziende comunicano senza neanche porsi un obiettivo..”ci penseremo poi”. Ecco qual’è lo spreco per me.
Riguardo a l’analisi del linguaggio naturale..tu ti fidi di un algoritmo?!?
Scrivendo un articolo con tematiche simili, mi hanno segnalato in un commento questo tuo intervento e così sono venuto a leggerlo. Interessante ciò che dici, senza dubbio. Però io non riesco a non vedere lo spreco. YouTube è solo uno dei tanti, nel mio post parlo di blog abbandonati, ma ci si potrebbe anche rivolgere alla fuffa di Facebook o ai milioni di caselle email abbandonate su Gmail. Un’inenumerabile quantità di dati che ha annacquato in questi ultimi 5 anni la qualità della rete. Quando io mi sono connesso per la prima volta, c’erano pochi siti di decente qualità, e cercando una cosa su Yahoo! o Altavista (Google ancora non esisteva), era probabile che finivi nel posto giusto al primo colpo. Adesso se cerco una cosa su Google devo passare 10 minuti a fare una cernita dei risultati, delle pubblicità, dei siti civetta, e via dicendo. Troppo caos, troppa spazzatura. La Napoli tecnologica ha bisogno di essere ripulita, solo che non è chiaro sul come fare. Certo i proprietari dei contenuti spazzatura dovrebbero essere maggiormente sensibilizzati, invitandoli a rimuovere il ciarpame, una volta che non serve più.