Quali sono i principali trends della comunicazione?
Io me lo sono chiesta, come sicuramente molti di voi.
Mi sono chiesta quali tendenze nell’ambito della comunicazione e dell’evoluzione dei media, in particolare online, hanno fortemente influenzato il 2008 e gli anni precedenti e guideranno il 2009 e gli anni successivi.
Ho provato a darmi una risposta, ho provato a tornare indietro nel tempo per ripercorrere la mia esperienza fino ad oggi e capire se era possibile individuare dei trends significativi e tutt’ora in evoluzione.
Mi sono soffermata su questi tre:
- Evoluzione e diversificazione del concetto di brand
- Costruzione della presenza online di un brand
- Digitalizzazione dell’universo media
Cercherò di spiegarli in maniera sintetica all’interno di tre post distinti perchè qualcuno mi ha detto che "se fai i post lunghi poi finisce che ti emarginano" . Ovviamente li considero uno spunto iniziale per ulteriori riflessioni quindi li riprenderò eventualmente più nel dettaglio in futuri post.
1. Evoluzione e diversificazione del concetto di brand
Si evolve il concetto di brand in quanto non più relativo a prodotti e servizi ma a tutta una serie di nuove categorie.
Harry Potter ha profondamente modificato le logiche del marketing editoriale perchè non è solo il titolo di un libro o il nome di un personaggio di fantasia, bensì un brand che va protetto e custodito. Il libro “Harry Potter – Come creare un business da favola“ si concentra proprio su questo concetto e sul ruolo della Rowling di “custode del brand” controllando personalmente ogni richiesta di estensione del brand (merchandising, trasposizione cinematografica dei libri, parco di divertimenti “The Wizarding World” di Orlando, etc).
Discorso analogo per una serie televisiva come Sex & the City: il lancio del film è stato supportato non esclusivamente ma per gran parte da operazioni di co-marketing: con Mercedes, con Swaroski, con Sephora, che hanno assicurato una visibilità notevole all’evento con una riduzione significativa degli investimenti pubblicitari. Sex & the City non è semplicemente un “contenuto” è un brand.
In generale questo trend si è manifestato in maniera molto forte in tutta l’industria legata all’entertainment; esempi di operazioni di branding molto interessanti per la comunicazione sono arrivati anche dal mondo videoludico (tanto che “il mauri” ha deciso di dedicare a questo tema un blog che vi consiglio di dare in pasto al vostro feed reader): pensiamo al recente caso di Halo 3 e andando più indietro nel tempo al mitico Mario Bros e alla sua seconda giovinezza con la Wii.
Gli stessi media diventano brands: pensiamo alle emittenti radiofoniche come RadioDeejay e magazine come Grazia. In quanto brands possono essere utilizzati in contesti diversi da quello originario, e non mi riferisco solo alla nascita di canali di fruizione del brand diversi come, nel caso della radio, il sito, il social network o il canale televisivo, ma ad esempio all’utilizzo insieme a brand automobilistici per operazioni di co-marketing (C1 Deejay, Renault Modus Grazia, Nissan Micra RDS etc).
Anche le persone diventano dei brand. Recentemente ho parlato del personality brand: le celebrities diventano brand e in quanto tali possono essere soggette ad estensioni (brand extensions): pensiamo ad esempio ai profumi aventi il nome delle celebrità o alle linee di abbigliamento da loro stesse disegnate.
Ho provato a riassumere questo primo trend con un orrido schemino che mi vergogno un po’ a pubblicare ma che spero dia l’idea di cosa intendo quando parlo di evoluzione.
Dal prodotto, ai servizi fino ad arrivare alle nuove categorie descritte sopra a cui sicuramente ne vanno aggiunte altre. Di particolare interesse per chi si occupa di comunicazione online è la presenza di brands forti anche in rete: pensiamo ad esempio alla recente "battaglia" a colpi di video virali tra Apple (I’m a Mac) e Microsoft (I’m a PC) o alle manifestazioni d’amore espresse dagli utenti (brand lovers) nei confronti del browser Firefox e della sua ormai famosa volpe tanto da essere utilizzata sulle carte di credito Visa.
Insomma il trend è ancora vivo e crea nuovi scenari, nuove opportunità ma anche nuove minacce.
Secondo voi come si evolverà?
AGGIORNAMENTO
I tre trend della comunicazione sono stati raccolti e approfonditi nell’ebook I trucchi di una digital strategist, edito da Simplicissimus Book Farm, scaricabile gratuitamente.
Mi permetto di dissentire su di un punto: la brandizzazione di auto per operazioni di co-marketing non è una novità nel panorama della comunicazione. Già agli inizi degli anni ’90 la Citroen mise in commercio la AX Fiorello: http://flickr.com/photos/8018719@N08/2894886276/ forte della popolarità dell’omonimo showman. Tra l’altro credo che la cosa ricada perfettamente in quello che hai definito “Personality Brand”.
La “Peugeot Roland Garros” credo che sia ancora precedente. Così come la Punto 4×4 Sisley. In questo caso stiamo parlando degli anni ’80.
Ciao Nicola, hai ragione 🙂
Io infatti volevo far specifico riferimento ai casi in cui sono i Media ad essere utilizzati come brands per operazioni di co-marketing come Radio Deejay, RDS e Grazia.
Gli esempi di co-branding nel settore automotive sono tantissimi: C3 D&G, Peugeot 1007 Freddy oltre a quelli meno recenti che hai descritto tu. Quella di Fiorello non la conoscevo, grazie per averla segnalata 😀
Ciao Fra,
parlando di Radio DJ, mi vengono in mente il DJ Television, trasmissione che vedeva la radio in partnership con Italia1: allora (anni ’80) ricordo capi di abbigliamento, l’aquafan, ecc… In effetti quella radio è sempre stata una spanna avanti.
Il mondo dei cartoon è un altro esempio di quello che tu dici.
E poi nel suo piccolo anche il sito BastardiDentro, partito da un sito web si è poi allargato ad altre iniziative…
Non essendo molto preparato sull’argomento, mi limito semplicemente a farti i complimenti per i continui e ottimi post che scrivi, sempre originali e interessanti.
Prima di tutto grazie per il link! ora che mi hai segnalato dovrò veramente impegnarmi con il mio progetto 🙂
Come sai bene, sono d’accordo con questi trend e trovo il primo punto molto interessante. Magari gli addetti ai lavori, che digeriscono molto rapidamente le novità, non sono “sorpresi”, ma il fatto di utilizzare un medium non solo come un canale, ma proprio come un brand ha degli effetti importanti nel mondo della comunicazione..e anche della produzione!
Ti segnalo a tal proposito una notizia che ho appena letto: la Gazzetta dello Sport, in occasione della Milano Fashio Week, realizzerà dei piumini in collaborazione col marchio Kejo. Insomma, non solo un canale sportivo, ma un brand di riferimento per chi ama lo sport.
@Massimilano hai ragione 🙂 il settore radiofonico è sicuramente quello che maggiormente ha vissuto questo processo di branding e in questo senso Radio Deejay fa da padrona.
@Luca Bove Pienamente d’accordo sia sui cartoon che su Bastardidentro, ottimo esempio di “digital environment” che grazie al suo posizionamento distintivo nello scenario web è diventato presto un vero e proprio brand
@Fabrizio, grazie 🙂
@videogioco mi raccomando non farmi sfigurare ahah (scherzo ovviamente). Ho appena letto la notizia della Gazzetta dopo aver visto la tua segnalazione ed effettivamente è un altro esempio perfettamente calzante di questo trend 😀
Errata corrige la 4×4 Sisley era una Panda, non una Punto. Sorry. 😛
Nel momento in cui il brand si slega dal prodotto, tutto diventa possibile. Mi spiego meglio, nel momento in cui Nike smette di vendermi un paio di scarpe da tennis e mi vende uno stile di vita competitivo e aggressivo, nike può smettere di essere una fabbrica di scarpe e diventare l’ombrello per una serie di collaborazioni anche distanti dal mercato di riferimento. Allo stesso modo, Sex and the city potrebbe essere tranquillamente una marca di scarpe, la differenza è che il suo mercato di riferimento ha permesso di farne sia un tabellone pubblicitario sempre illuminato che una fabbrica di utenti fidelizzati (volevo usare engaged, però poi sembrava banale :P). In questo modo, Sex and the city è un brand forte e “vuoto”, adatto a contenere una serie di oggetti fisici (Manolo Blahnik, Swarovski ecc.) tanto quanto Nike.
Discorso diverso per il co-branding, che nasce prima di tutto come strategia di marketing allo scopo di aumentare la quota di mercato. Il cambiamento di significato del brand rafforza il co-branding, ma in questo caso la comunicazione porta valore aggiunto al marketing senza essere il punto focale del processo.
Mi accorgo adesso di essere andata per le lunghe, sorry 😛
(comunque non sapevo di Sephora + Sex and the city, ora so di aver fatto una scelta stilosa a suo tempo :P)
“Nel momento in cui il brand si slega dal prodotto, tutto diventa possibile”
Hai perfettamente ragione, più che dal prodotto, in questa ottica di ampliamento delle categorie di brand, parlerei di ambito originario di competenza, ad esempio nel caso di Radio Deejay vado aldilà del semplice canale radiofonico, nel caso di Beckham del calcio e così via.
PS non ho capito l’ultima parte quando hai detto “ora so di aver fatto una scelta stilosa a suo tempo :P” 😀
…che appena ho visto il primo negozio della catena nella mia città me ne sono istantaneamente innamorata e non sono più potuta entrare senza un senso di tradimento in altre profumerie 😉
ahah ti capisco perfettamente! 🙂
IMHO l’elemento fondamentale al quale guardare è il connubbio Brand/Cultura. Non importa quali siano i media/supporti utilizzati ma tanto più un Brand penetra nella cultura attraverso i diversi canali tanto più questo sarà forte.
Comarketing, Pr “a manetta”, piuttosto che presenza integrata in rete, sono tutte operazioni volte a spostare il concetto di Brand da puro “Marchio” (io esisto, sono riconoscibile, comprami!) a elemento integrante della vita di ciascuno di noi.
Il brand più forte è quello che non viene percepito come nome+logo+ads+prodotto etc.., ma come l’essenza stessa di una categoria di prodotto o servizio. Come diceva Feba, Nike è l’essenza stessa dell’atleticità, del benessere. Citando N. Klein “non si tratta di sponsorizzare la cultura, ma di essere la cultura”, o meglio di utilizzare alcuni aspetti della cultura come estensioni del Brand.
ps: primo giorno che ti leggo… complimenti!
Dopo tutto se riesco ad innamorarmi di un luogo, perchè non dovrei riuscire a dinnamorarmi di un brand?
Complimenti per l’articolo, anche se forse sex & the city (2008) non è un caso così eclatante da segnare l’evoluzione del concetto di brand, in quanto non è sicuramente il primo film ad utilizzare tecniche di co-marketing (supportate da un massiccio product placement all’interno della pellicola) per ridurre le spese in investimenti pubblicitari. Ad esempio tutti i film di 007 dal 1995 in avanti hanno utilizzato tecniche simili. Anche in questo caso si può dire che 007 non è solo un film, infatti si può riconoscere l’evoluzione da libro -> film -> brand, 13 anni prima di sex & the city.
Occhio che però lo stiracchiamento dei brand come “stile di vita” (e parla uno che via Harley Davidson la cosa la conosce bene) rischia da un lato di togliere enfasi al core business, dall’altro se non evolve e segue i trend di trascinare come stile di vita non più trendy anche il brand nel baratro.
Nike si è rivitalizzata tra i giovani con converse (con posizionamento di prezzo molto inferiore).
Deejay ha perso il trend della musica e dello stile di vita e perde colpi anche come radio.
quindi calibrare bene sempre la estensione dei marchi